OIKOS - Mostra d'Arte ecointegralista 21 novembre - 13 dicembre 2014 Villa Spinola Narisano, Genova
Centro Civico Cornigliano - Viale Narisano 14 - 1° piano
CHRISTIN BOLEWSKI - ENRICO BOVI - GIAN LUIGI BRAGGIO
NATALIA CARRUS - DUNE - ARMANDO FANELLI - BENNA GAEAN MARIS
CHRISTOS GIANNOPOULOS - ALFREDO “AMARS” GRELLI - MAR.GU - MARY M.
FULVIO MARTINI - ABRAMO “TEPES” MONTINI - LEONARDO PRENCIPE
MAYA QUATTROPANI - STEFANO SANSONI - DAVID THEOBALD
Vista panoramica della mostra Introduzione
“Quando parliamo di Natura è sbagliato dimenticare che noi stessi siamo una parte della Natura.” - Henri Matisse
OIKOS
mostra d’arte ecointegralista
Dopo un fugace momento di buone speranze, viviamo un’epoca dominata da enormi sconvolgimenti economici che determinano gravi iniquità sociali, angoscia e ingiustizie in tutto il mondo. Così si alimentano sempre più conflitti bellici motivati da ragioni pretestuose e ipocrite, il cui solo scopo è la predazione delle risorse, in particolare di quei territori che furono la culla della civiltà. Tanti popoli subiscono indicibili sofferenze e massacri, trovando salvezza solo nella fuga.
In un simile contesto di emergenza umanitaria, parlare di ecologia sembrerebbe di secondaria importanza, ma è proprio nell’alterato equilibrio tra essere umano e ambiente che troviamo la cagione di tutto: da una parte élite potenti e facoltose sostengono un sistema di lussuoso abuso delle risorse in cui lo sperpero raggiunge apici e volumi senza precedenti, il quale poi viene preso a modello da una classe media che, pur di non essere da meno, diventa sempre più povera o si indebita; dall’altra parte, masse sempre più numerose di indigenti si ritrovano per necessità a sopravvivere con, tra e degli scarti, subendo ovvie conseguenze. Così c’è chi vive vicino alla centrale nucleare dove lavora e chi per lavorare si sposta nel caos urbano respirando smog; c’è chi si sente fortunato ad abitare vicino a un aeroporto o a un ripetitore per telefoni cellulari; c’è chi mangia cibo spazzatura, chi compra gli alimentari sottocosto prossimi alla scadenza, chi si reca alle mense dei poveri, chi attende gli aiuti umanitari lanciati col paracadute, chi vive nelle discariche separando i rifiuti per sopravvivere. C’è chi alla fine dà colpa alla sfortuna quando si ammala nel corpo o nell’anima, e quindi si fa riciclare come uno scarto dallo stesso sistema per cui si è ammalato, generando ulteriori profitti.
Ci venne insegnato che vivere nello sporco provoca malattie, ma in nome del profitto gli esseri umani sembrano aver dimenticato questo principio; o meglio, per non incorrere in sanzioni hanno imparato a nascondere e dissimulare i propri rifiuti, rendendoli sempre più invisibili, inodori, intangibili e subdoli, fino a trasformarli in finissime nano-polveri; oppure rendendoli attraenti, perfino piacevoli.
La produzione di uno scarto è sempre intrinsecamente un atto antieconomico e antiecologico.
In ogni ambito si inventano sempre nuove sostanze artificiali, tanto utili quanto inquinanti: solide, liquide, gassose, biologiche, nucleari o elettromagnetiche. La contaminazione è talmente ubiquitaria, pervasiva e strisciante che non risparmia nessuno.
Da un punto di vista naturalistico, quasi sempre i ritrovati tecnologici che normalmente vengono definiti prodotti non sono tanto diversi dai rifiuti: entrambi inquinano a causa della loro natura artificiale.
Pure molte materie e procedimenti con cui si realizzano le opere d’arte producono inquinamento, quindi anche tutta questa mostra, ma possiamo accettare l’attenuante che ognuno è figlio della propria epoca e per parlare di cambiamento è necessario iniziare da dove ci si trova, usando ciò che si ha e in modo che venga compreso dalla contemporaneità; inoltre è tanto utile ostentare il corpo del reato quanto l’arma con cui si sia perpetrato il delitto.
In tal senso la Video Arte, sebbene anch’essa dipenda da tecnologie non proprio
eco-friendly, potrebbe essere considerata un’evoluzione ecologica delle arti visive classiche, perché smaterializza l’opera d’arte riducendola alla sua sola essenza più importante, ossia il messaggio che essa veicola tramite la sua immagine virtuale, il suo spettro incorporeo, sollevando quindi l’ambiente dal peso di nuovi prodotti / rifiuti materiali.
Nell’ambito dell’ambientalismo, ritengo che più della mancanza d’informazione sia maggiormente dannosa la disinformazione, oltremodo desiderata dalle corporazioni che sono interessate solo ai profitti generati dai loro giganteschi business a cui hanno apposto l’etichetta falsa dell’ecologia.
Talvolta anche gli artisti partecipano al gioco inconsapevolmente, confidando negli slogan che vengono propinati come mantra dai mass media, pertanto ho voluto imprimere alla mostra la mia personale opinione, selezionando accuratamente le opere al fine di scremare tutto ciò che ritengo frutto di manipolazioni finalizzate agli interessi economici piuttosto che ecologici.
Un esempio eclatante è il riciclo dei rifiuti: invece di limitare a monte la produzione dei rifiuti, da una parte si obbliga a riciclare e dall’altra si incentiva una grande distribuzione basata sul preconfezionamento dei prodotti al dettaglio (es.: poche fette di prosciutto sono spesso vendute con un’equivalente massa di plastica) e sull’obsolescenza programmata (i prodotti / rifiuti non vengono progettati per durare). Ho pertanto omesso uno dei più nuovi paragrafi dell’espressione artistica contemporanea: la
Recycle Art fine a sé stessa.
Anche la teoria del presunto
global warming causato dalla CO2, già incongruente e fumosa alla luce di più ampi studi indipendenti, dopo lo scandalo dei dati manomessi ha dovuto cambiare nome, trasformandosi in un più aleatorio climate change.
Con il termine
ecointegralista ho voluto definire un atteggiamento “fondamentalista” fortemente rispettoso degli equilibri della natura. Esso auspica un ripensamento degli stili di vita umani in sintonia con alcuni precetti dell’ecosofia (filosofia ecologica) relativi all’interazione tra noi e l’ecosistema, attraverso un riavvicinamento ai ritmi della natura, ai cicli circadiani e stagionali, un’attenzione per i principi fondamentali della nostra esistenza, del nostro ruolo e presenza sul pianeta, ossia la sopravvivenza attraverso il nostro adattamento all’ambiente e non viceversa.
Òikos, οἶκος: gr. «casa, residenza, famiglia»
Esiste una certa cultura che ritrae il sentimento ambientalista ed ecologista come espressione di un fanatismo; viene sarcasticamente soprannominato “ecoismo”, in ovvia assonanza a egoismo. In parte hanno ragione: l’ecologia e il rispetto per l’ambiente sono proprio forme di egoismo, ossia interesse per la propria incolumità: eco, dal greco
òikos, significa casa, e la nostra casa è quella sfera di estensione finita chiamata Terra. Colui che della sua casa fa scempio è a dir poco uno sprovveduto.
Sempre più persone hanno già un’alta consapevolezza dei danni che subisce l’ambiente, e nel loro animo vorrebbero appassionatamente una società che rispetti la natura, ma sembra che ciò non basti, infatti assistiamo a una sempre più frequente e insidiosa distruzione e contaminazione di ogni aspetto dell’ambiente che ci circonda. È ovvio che le decisioni non vengono prese dalla cittadinanza.
La tecnologia avanza a ritmo esponenziale, creando ogni giorno nuovi effetti collaterali a cui la maggior parte delle persone non è preparata o di cui neppure è al corrente: nanoparticelle, biotecnologie, eccetera.
Per i guadagni immediati nessuno si preoccupa degli effetti sull’ambiente nel lungo periodo, e ormai neppure di quelli a breve termine; nella migliore delle ipotesi gli accorgimenti per contrastare le ricadute sulla salute hanno bisogno di decenni per essere assimilate dall’informazione pubblica, così diventano obsolete prima ancora di poter sortire effetti. Per difendersi è necessario tenersi ben informati e cogliere i cambiamenti, ma soprattutto saper guardare al principio.
Gli artisti possono umilmente offrire alla società la loro perspicacia avanguardista che nasce dalla loro naturale sensibilità e dalla necessaria capacità di osservazione, il cui spirito talvolta eccentrico e poliedrico può portare a una più ampia visione della realtà.
Per questo ho chiamato artisti diversi nel linguaggio, riconosciuti o emergenti, ma tutti accomunati da un precedente e disinteressato coinvolgimento personale sulle tematiche ambientaliste, e che attraverso le loro opere si siano espressi contribuendo alla pubblica denuncia delle tante problematiche.
Volendo vincere la resilienza dovuta all’apatia o all’indifferenza, che impedisce di agire per la soluzione dei problemi, questa mostra vuole sensibilizzare tutte le persone, favorendo la presa di coscienza di realtà troppo spesso omesse, occultate o marginalizzate in un altrove, e sostenendo che per preservare l’ambiente in cui viviamo è necessario anche il determinato dissenso unito alla libera adozione di atteggiamenti da parte dei singoli individui, e soprattutto un cambiamento etico in coloro che contribuiscono a muovere quei meccanismi socioeconomici che a loro volta determinano gli stili di vita della comunità.
Arte Ambientale
Abbiamo le prove che il sentimento d’ammirazione e di rispetto, perfino di trepida venerazione per la grandiosità dell’ambiente naturale è stato sempre presente nella civiltà umana fin dai suoi albori; ci viene rivelato dalle pitture rupestri dei popoli primitivi raffiguranti un’esistenza avventurosa di cui l’uomo era interprete non protagonista nel palcoscenico dell’ecosistema. Esso accompagna l’umanità da milioni di anni, subendo molte flessioni antropocentriche, ma sempre risorgendo in periodi storici umanistici e attraverso espressioni armoniose: dalla filosofia dell’Antica Grecia ai grandi paesaggisti del nuovo continente americano, dalla fitoterapia della Scuola Salernitana agli studi del Rinascimento, dalle tavole imbandite dipinte dai Fiamminghi al movimento naturista.
Negli ultimi 150 anni, lo studio della natura ha però generato anche la rivoluzione industriale, il cui risultato è stato uno sperpero delle risorse repentino e senza precedenti; negli ultimi 50 anni si è necessariamente levata una nuova ondata ecologista, il principio è sempre uguale, il danno è lo stesso che già lamentavano gli antichi greci, medesima è la soluzione; ma tutto è tanto amplificato esponenzialmente quanto diffuso in modo frattale.
L’ambientalismo si aggiorna alle esigenze contemporanee e alle nuove manifestazioni della predazione antropica, per cui si esprime attraverso nuovi movimenti artistici e concettuali.
Attualmente l’espressione di molti artisti ambientalisti si trova in una fase più propositiva, suggerendo soluzioni e stili di vita piuttosto che denunciando lo scempio. Ciò è forse ancora prematuro: molti artisti hanno la capacità di vedere avanti, oltre la propria epoca, risultando talvolta poco comprensibili perché troppo lungimiranti; invece la società è molto più pragmatica, siccome le persone sono normalmente propense a vivere confrontandosi coi problemi immediati, piuttosto che perseguire attitudini futuribili o disperdersi tra diverse ipotesi utopistiche.
Pertanto ho ritenuto più necessario continuare a riportare la realtà dei fatti con un’esposizione che denunciasse ancora una volta i disastri grandi e piccoli inflitti all’ambiente dagli stili di vita umani, tanto vergognosi da venire taciuti, tanto diffusi da venire ormai omessi e sottintesi, come se fosse tutto normale.
Dobbiamo però tenere presente che l’arte ambientale è un insieme concettuale piuttosto ambiguo, in particolare in una delle sue forme più importanti, la
Land Art, um, modificandolo a proprio piacimento, e coloro che invece denunciano questo abuso. La modifica del pianeta è il punto d’ingresso al concetto di geoingegneria, un neologismo che definisce quella mira megalomane protesa ad alterare la Terra e la sua atmosfera piegandole ai bisogni o ai capricci antropici. Quella volontà è iconicamente espressa dalla ciclopica opera “Spiral Jetty” ideata nel 1970 da Robert Smithson
(1) per la quale vennero spostate enormi quantità di terra in un tratto di costa al solo fine estetico.
Altre esemplari alterazioni della natura sono le opere e le performance di Antti Laitinen recentemente esposte alla 55ª Biennale di Venezia; per esempio nella serie “Forest Square”
(2) vengono manipolate porzioni di foresta, i cui alberi vengono ridotti in cascame successivamente vagliato, separato per tipologia e quindi disposto entro dei rettangoli suddivisi alla Mondrian.
Un altro
land artist manipolatore è Christo, spesso criticato dagli ambientalisti per i suoi ciclopici interventi sulla natura, che egli copre con chilometrici tessuti colorati, perché non rispettano e mettono in pericolo la flora e la fauna sottostante. Personalmente nei suoi “imballaggi” intravedo anche il concetto di sudario, nel senso del lenzuolo funebre in cui si avvolgono i cadaveri.
Nella maggior parte dei casi l’arte ambientale di tipo manipolatorio ha le caratteristiche della
Pop Art: si occupa più di estetica e frivolezza che di concetto e impegno.
Al contrario, l’arte in difesa dell’ambiente è necessariamente allarmista, talvolta pervasa da una cruda atmosfera di gravità e di sofferenza che può essere scambiata per pessimismo e quindi risultare ostica, quando invece non c’è atteggiamento più pessimista del fingere di non vedere i problemi.
L’installazione di grandi dimensioni “Construction Materials of the Spanish Pavilion” di Lara Almarcegui
(3) rende bene l’idea di quale crudezza può raggiungere la denuncia dell’arte ambientale, semplicemente portando sotto gli occhi del pubblico delle enormi e grezze cataste di detriti provenienti dalla demolizione di edifici industriali che deturpano la Laguna veneta.
Invece nei tronchi dell’opera “Kreupelhout” di Berlinde De Bruyckere
(4), dedicata ai dipinti di San Sebastiano, possiamo trovare un senso di sofferenza espressa da fasciature e legature che fanno somigliare il legno a un corpo umano martoriato.
Ma ci sono anche artisti che parlano della relazione con l’ambiente usando un linguaggio più sereno e sarcastico, come Wim Delvoye, famoso soprattutto per l’installazione “Cloaca”, un mostruoso macchinario industriale riproducente il funzionamento dell’apparato digerente umano che riduce gli alimenti introdotti in scarti intestinali, che ha ideato per esempio la serie “Delft Cabinet”, raffigurante vetrinette contenenti lame per decespugliatore realizzate in ceramica olandese; oppure Piero Gilardi con il suo Tappeto Natura “Dopo l’incendio”.
Joseph Beuys
(5) uno dei più fondamentali artisti ambientalisti, invece conferisce alle proprie opere un piglio in bilico tra denuncia e attitudine, con un senso di imparziale austerità ma anche di solenne serenità.
L’installazione “La scorta” di Gianfranco Baruchello
(6) può invece essere letta sia come assolutamente propositiva che come denuncia degli sprechi; egli abbina semplicemente due icone antagoniste: la bicicletta come simbolo di rispetto ecologico e il sistema del potere rappresentato dal grande dispiego di forze in sua difesa a cui purtroppo ci siamo abituati.
Quest’opera è anche metaforicamente rappresentativa della divisione tra interessi e brame personali in contrapposizione a quelli dell’ambiente o della società di cui dovremmo sentirci parte.
Vinciamo l’assuefazione, diamoci una svegliata, apriamo gli occhi, non è tutto normale: l’indifferenza è un gioco d’azzardo.
Alziamo il pesante sipario calato per nascondere malefatte e responsabilità.
(1) Robert Smithson, “Spiral Jetty” (Molo a spirale), 1970 Terrapieno Fotografia di Vik Muniz © 1997 Stampa gelatina d’argento, 60,33 × 96,52 cm Collection SFMOMA San Francisco Museum of Modern Art Fonte: http://www.sfmoma.org/
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(2) Antti Laitinen, “Forest Square III” (Quadrato di Foresta III), 2013 Fotografia, stampa cromogenica, Diasec®, 180 × 180 cm |
(3) Lara Almarcegui, “Construction Materials of the Spanish Pavilion” (Materiali da Costruzione del Padiglione Spagnolo, vista parziale), 2013 Installazione scultorea di grandi dimensioni Cemento, mattoni, legno, ferro e vetro |
(4) Berlinde De Bruyckere, “Kreupelhout” (Legno contorto), 2012-2013 Installazione scultorea di grandi dimensioni Cera, resina epossidica, ferro, pittura, legno, tessuto, corda, gesso, tetto |
(5) Joseph Beuys, “Schlitten” (Slitta), 1969 Slitta di legno, feltro, cinghie di tessuto, torcia elettrica, grasso, pittura a olio, laccio, ~ 35 × 90 × 35 cm Alfred and Marie Greisinger Collection Walker Art Center, T. B. Walker Acquisition Fund, 1992 Source: http://www.walkerart.org/collections/artworks/schlitten-sled
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(6) Gianfranco Baruchello, “La Scorta (Ecologia e potere)”, 2012 Installazione Sette biciclette con lampeggiante Fotografia di Federico Pedrotti - Museion - Bozen/Bolzano Fonte: http://www.flickr.com/photos/museion_-_museo_darte_moderna_e_contemporanea/
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Galleria delle opere
Opere video in proiezione
Video
Catalogo
Richiedi il catalogo su carta inviando una e-mail a:
Catalogo OIKOS - Mostra d'Arte ecointegralista, italiano | inglese, 84 pagine A4 (21 × 29,7 cm) a colori
Come arrivare
OIKOS ha luogo nel quartiere genovese di Cornigliano, caratterizzato fino a tempi recenti da una pesante contaminazione industriale, ora in lento miglioramento. Ricordiamo inoltre il disastro della petroliera Haven, che si inabissò non distante da questa riva 23 anni fa ma il cui greggio è ancora oggi adagiato sui fondali compromettendo la salute. Non da ultimo, sono ancora fresche le ferite causate a Genova dalle alluvioni del 2011 e di ottobre 2014 che hanno causato vittime e disastri economici tra i cittadini, per colpa dell'abuso edilizio, della brevimiranza, dell'incuria e della speculazione senza alcun riguardo per l'ambiente.
La mostra si svolge nella cinquecentesca Villa Spinola Narisano, presso il
Centro Civico Cornigliano sito al 1° piano, in Viale Narisano 14, Genova.
Come arrivare:
in aereo: aeroporto
Cristoforo Colombo di Genova, procedere 1,5 km per SS1 / Centro / Via Cornigliano
in treno: stazione FS di
Genova Cornigliano, procedere verso destra per Via Cornigliano
in automobile:
Autostrada dei Fiori A10 Savona - Ventimiglia, uscita Genova Aeroporto
in autobus: fermate Cornigliano 2/
Rizzolio o 3/
Pellizzari